Mariafausta Zavaglia e il suo Catanzaro che unisce e riunisce

Contagiata dalla grande passione del suo amato papà che disertava anche le feste di famiglia pur di rispondere presente all’appello giallorosso

Oltre i vetri della finestra osservava con stupore lo sciame giallorosso che si dirigeva verso lo Stadio. Poi, il boato arrivava in ogni angolo della sua abitazione di via Fratelli Plutino, alle spalle del settore dei distinti. È il ricordo colorato e rumoroso delle domeniche d’infanzia della sessantenne Maria Fausta Zavaglia, di professione insegnante.

Il Catanzaro Calcio era la più grande passione del suo amato papà che disertava anche le feste di famiglia pur di rispondere presente all’appello giallorosso: “Non ha smesso di seguire la squadra neppure quando si è ammalato. È principalmente merito suo se io non mi sono mai sentita estranea al mondo del calcio. Vivere nel quartiere Stadio ha reso naturale il mio avvicinamento al popolo dei tifosi da cui sono stata accolta benevolmente”.

I primi contatti con gli spalti sono avvenuti in curva per Maria Fausta: “Erano i tempi del liceo e seguivo le partite con un gruppo di coetanee. Due di loro conoscevano personalmente alcuni giocatori e perciò riuscivamo a incontrarli anche in occasioni informali. Era la squadra di Spelta, Braca, Ranieri. Erano anni molto belli” racconta. Dopo la maturità si trasferisce a Napoli per compiere gli studi universitari: “La distanza non mi permetteva di partecipare alle partite casalinghe. Pur avendo dovuto rimodulare la mia organizzazione, non ho perso l’interesse per il Catanzaro. Mi spostavo dalla Campania per seguirlo in trasferta e in quell’occasione ho sperimentato l’esperienza di incontrare tifosi giallorossi provenienti da tutta Italia per sostenere la squadra, che, quindi senza rendercene conto, ci riuniva come fa una mamma con i suoi figli”.

Poi un lungo periodo in cui gli impegni lavorativi e coniugali l’hanno costretta a cambiare diverse sedi, ma ogni qualvolta tornava a casa c’era un appuntamento fisso da rispettare: andare al Ceravolo con papà Pepè. Ogni volta era una grande emozione. In quei 90 minuti tornava bambina e si divertiva come era accaduto durante gli indimenticabili festeggiamenti per la promozione in Serie A del 1978. Lei insieme a mamma e papà sulla Cinquecento decapottabile, il tepore primaverile sulle guance e tra le braccia il suo cagnolino vestito di giallorosso a sfilare con orgoglio per le strade della città.

Nel 2008 si ristabilisce sui Tre Colli e trova nelle sue amiche delle valide “alleate”: “Ogni domenica sono in tribuna in compagnia di Giovanna Altilia e Giovanna Madonna. È nostra consuetudine arrivare allo Stadio almeno con un’ora d’anticipo rispetto al fischio d’inizio. In quel frangente condividiamo ansia ed eccitazione, avanziamo pronostici e facciamo ipotesi sulla formazione che scenderà in campo. Insieme abbiamo fatto anche numerose trasferte”. Maria Fausta non ha mai avvertito di essere discriminata dall’universo del tifo maschile pur notando che “gli uomini quando si trovano ad intavolare una discussione tecnica non riconoscono nelle donne un interlocutore in grado di formulare commenti qualificati, sottovalutando anche la nostra capacità di cogliere anche altri aspetti come l’intesa del gruppo. Quella femminile è una lettura più sensibile e più profonda intorno all’orbita in cui gravitano i calciatori”.

Soddisfatta del rendimento della squadra che definisce con un solo aggettivo “rampante”, è ottimista per quello che accadrà da qui in avanti: “Apprezzo il lavoro del collettivo. Mi sono ricreduta anche sugli ultimi arrivati che stanno crescendo molto, come Veroli e D’Andrea. Le mie preferenze ricadono su Fulignati e Brighenti” afferma Maria Fausta che vuole continuare a godersi lo spettacolo nel campionato di Serie B allontanando le tante amarezze del passato: “Pur sentendomi umiliata non ho mai reciso il filo che mi tiene legata alla squadra della mia città. Ho continuato a tifare per senso di appartenenza. Non ho nessun complesso di inferiorità rispetto alle realtà del Nord, quindi non credo nella rivalsa sportiva”.

A chiudere la pagina di questo racconto c’è il significativo gesto di una figlia che mantiene viva la fede di un padre anche oltre la sua esistenza terrena: “Allo Stadio porto sempre con me, ben custodito nello zaino, il cappellino che mio padre indossava durante le partite. Una passione che ci tiene uniti e vicini”.

Non chiamatelo tifo. È una fede.

Rosita Mercatante per Tifosa Giallorossa

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