“Tifose, donne del calcio”, Marta Elena Casanova racconta l’anima femminile che illumina gli stadi

𝐃𝐨𝐧𝐧𝐞, 𝐭𝐢𝐟𝐨𝐬𝐞 𝐞 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨: 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐢 𝐬𝐢 𝐯𝐢𝐧𝐜𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐢

Scrivere un saggio dedicato alle donne del calcio è stato innanzitutto un affare di cuore per la giornalista Marta Elena Casanova appassionata supporter doriana fin da quando aveva l’età di dieci anni. Le emozioni, le sensazioni e le vicende che compongono l’esperienza diretta maturata sugli spalti dello Stadio, diventano per lei la traccia da seguire per avventurarsi lungo sentieri poco battuti alla ricerca di voci, volti e testimonianze della tifoseria calcistica femminile. E così incontra storie di sostenitrici della maglia che aspettavano di essere raccontate. Che meritavano di essere conosciute. Storie che svelano che la passione per il calcio non è stata storicamente ad appannaggio totalmente maschile e che alcune donne del loro amore per il pallone hanno fatto qualcosa di più: l’hanno trasformato in un’occasione per affermare i propri diritti o per abbattere il muro dei pregiudizi e dei divieti. Come nel lontano 1913 fece Edelmira Calvetò, tifosa del Barcellona che riuscì nell’impresa di entrare nella società blaugrana infrangendo ogni clichè. Uno dei personaggi per cui l’autrice di “Tifose, donne del calcio” (Odoya Edizioni 2018) dichiara la sua devozione

𝐂𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐝à 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐮𝐚 “𝐦𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐧𝐳𝐚”?

“Tifare è una grande passione. Le passioni sono importanti e devono essere coltivate. Il calcio è arrivato nella mia vita quando ero una bambina e mi sono avvicinata a questo ambiente in maniera abbastanza casuale. Non sono stata introdotta dai miei genitori. È un interesse che poi mi sono sempre portata dietro. Mi definisco una tifosa da stadio perché lo frequento e trovo che sia un motivo di divertimento ma anche per fare aggregazione e condividere le stesse sensazioni. Intendo il tifo come un modo di stare insieme e di passare dei momenti insieme, che possono essere esaltanti o meno per i risultati agonistici”

𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐨 𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨 𝐚 𝐜𝐮𝐢 𝐡𝐚 𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?

“Sono partita dalla mia esperienza di tifosa della Sampdoria. Mi sono resa conto che allo stadio ci sono tante donne. Ne ho sempre viste tante. Ad un certo punto mi sono domandata chi fossero e quante fossero le donne tifose di calcio. E non mi riferisco a quelle che stanno al seguito di mariti, fidanzati o figli. Ho rivolto lo sguardo verso le donne che stanno sugli spalti per scelta propria e non sono mere spettatrici ma soffrono, esultano e cantano cori per la propria squadra. La mia ricerca è stata innescata da questa curiosità e il viaggio-inchiesta ha avuto inizio dalle aggregazioni in Italia. Ho scoperto che ci sono tantissimi gruppi organizzati di tifose in diverse città, e fanno riferimento ad un’associazione nazionale che li racchiude tutti. Mi sono fatta raccontare da loro come vivono il calcio, la loro passione, il tifo per la loro maglia. Poi da lì ho sviluppato un excursus su quello che è il tifo al femminile nel resto del mondo. Se per tanti paesi come l’Europa, l’Inghilterra, la Francia, la Germania e la Turchia la partecipazione femminile alle partite è massiccia, così come in Sud America, negli Stati Uniti il concetto è diverso in quanto sono più numerose le donne che giocano a calcio che quelle che tifano. Poi ci sono realtà differenti come l’Iran dove, invece, le donne non sono libere in tanti ambiti tra cui lo sport. A loro è vietato avere una fede calcistica e partecipare alle partite. Le storie sono arrivate, una dopo l’altra. Ad un certo punto sono state loro a trovarmi”

𝐍𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞: “𝐅𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐚 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐮𝐢, 𝐥𝐨 𝐚𝐦𝐦𝐞𝐭𝐭𝐨, 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐡𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐚”. È 𝐮𝐧’𝐚𝐟𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐢𝐧 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐢𝐚 𝐬𝐮𝐥 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞𝐜𝐢𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐥𝐞 𝐧𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨 è 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨𝐯𝐚𝐥𝐮𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐨 𝐟𝐨𝐫𝐬𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐬𝐢 𝐬𝐜𝐨𝐦𝐨𝐝𝐚 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭à 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚𝐫𝐜𝐚𝐥𝐞?

“È innegabile che esiste un retaggio maschile molto forte ancora e non solo nel tifo ma anche nell’ambito professionale del calcio. L’accezione che volevo dare a questa frase è positiva nel senso che non me ne sono resa conto perché non ho mai subito discriminazioni o critiche negative e offensive”

𝐐𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐦𝐚𝐧𝐜𝐚 𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐜𝐚 𝐚𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐢𝐟𝐨, 𝐠𝐢𝐨𝐜𝐨 𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐭𝐨 “𝐩𝐚𝐫𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢𝐨” 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐞?

“Per quanto riguarda il tifo siamo sulla buona strada, mentre per il calcio giocato o lo spazio che le donne hanno negli organigrammi societari la questione è tutt’altro che risolta. Da noi il professionismo è arrivato da pochissimo. Da poco tempo è stato previsto che i Club devono avere una squadra femminile. La prima ad adeguarsi in Italia è stata la Fiorentina. Sono stati fatti dei passi in avanti per il calcio femminile ma non abbastanza perché nel nostro Paese è uno sport ancora troppo poco seguito. È chiaro che l’indotto che crea il calcio maschile è differente e difficile da raggiungere per ovvi motivi. Bisognerebbe fare di più per promuoverlo. Per quanto riguarda la presenza femminile negli organigrammi societari mi viene in mente l’esempio della Roma che dopo l’acquisizione da parte degli americani ha visto donne ricoprire cariche societarie. Cosa che molto spesso, in altri contesti, è capitata solo per dare spazio a donne imparentate con il presidente”

𝐃𝐮𝐫𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐢𝐧𝐝𝐚𝐠𝐢𝐧𝐞 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐥𝐮𝐛 𝐝𝐢 𝐭𝐢𝐟𝐨𝐬𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐧𝐠𝐨𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐢𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐚 𝐬𝐪𝐮𝐚𝐝𝐫𝐚: 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐥’𝐡𝐚 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐩𝐢ù 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨? 𝐂’è 𝐮𝐧 𝐦𝐢𝐧𝐢𝐦𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐧𝐨𝐦𝐢𝐧𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭à?

“Le donne rispetto agli uomini sanno scindere molto di più il tifo dal resto della vita. Sono appassionate tanto quanto gli uomini però poi non arrivano a vivere il calcio con assolutezza deviata ed è il motivo per cui quando si creano delle situazioni scomode e antipatiche non si fanno mai coinvolgere”

𝐂’è 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐚 𝐩𝐢ù 𝐚 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐞?

“Mi ha appassionato molto la storia di una tifosa del Barcellona, Edelmira Clavetò, la prima donna ad entrare nell’amministrazione di una società sportiva. Non voleva solo restare a guardare, voleva far parte del Barcellona, squadra ad azionariato popolare il cui statuto però non prevedeva presenze femminili; erano ammessi, infatti, solo uomini, come da regolamento. Quando nel 1913 questo venne riscritto, notò che nella nuova stesura del documento compariva la parola “persone” al posto di “uomini”. Convinse la maggioranza a farla entrare”

𝐐𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐚 𝐬𝐮𝐨 𝐚𝐯𝐯𝐢𝐬𝐨 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨 𝐢𝐧𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐞𝐬𝐞?

“Tanto. Il calcio rispecchia la politica e la società del momento. Il bello del calcio è il fatto di essere uno sport, un divertimento, una passione. Non bisogna però dimenticare che si tratta di un sistema talmente potente che inevitabilmente ha un ruolo determinante nella società”

𝐐𝐮𝐚𝐥 è 𝐢𝐥 𝐦𝐞𝐬𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐚𝐟𝐟𝐢𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?

“Quello che volevo era fare in modo che le tifose come me si rispecchiassero nella mia storia e io nella loro. Non ho sentito l’esigenza di diffondere un messaggio. La cosa più entusiasmante è stato instaurare un dialogo con le donne tifose che desideravo e di cui mi aspettavo un buon esito. La vera sorpresa è stata registrare l’apprezzamento da parte di molti uomini per quello che ho scritto”

Rosita Mercatante per Tifosa Giallorossa

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