Donne ultras e tifose moderne, Pierluigi Spagnolo sulle tracce delle pioniere del tifo organizzato nelle curve di tutta Italia

Il giornalista della Gazzetta dello Sport e autore del libro “I ribelli degli stadi” sostiene che l’emancipazione femminile sia passata anche dalle curve.

Susanna Penna è conosciuta, ancora oggi, come una delle S.L.A.S. Era una delle prime donne ultras del Torino, sin dagli anni Settanta. L’acronimo racchiude le iniziali delle fondatrici, delle pioniere del gruppo: Susanna, Luisa, Anna e Silvia. Di recente Susanna ha preso parte all’evento SuperPartes, un raduno (ma gli organizzatori preferiscono definirlo “un incontro”) tra molti dei capi ultras delle curve italiane degli anni Ottanta. Gente che in quella fase così turbolenta si è “odiata”, fronteggiata, persino affrontata… E che adesso vive il tifo all’insegna della goliardia e dell’amicizia, in maniera disincantata. E periodicamente si riuniscono. Lo scorso anno si è svolto a Como, quest’anno a Torino (l’8-9 giugno scorsi), dopo essere passati per Firenze e Roma. Proprio nella città della Mole, dopo la visita alla Basilica di Superga, c’è stato il momento conviviale, un pranzo in un circolo sportivo lungo il fiume Po. Pierluigi Spagnolo, giornalista della Gazzetta dello Sport e autore del libro “I ribelli degli stadi”, una sorta di manuale di storia del tifo in Italia, di donne ultras ne ha incontrate tante. Fa anche l’esempio di Cinzia Toniolo, “un’altra storica esponente della curva del Vicenza, passata persino dagli studi televisivi della Rai, dalla Domenica sportiva, per raccontare il suo essere una donna da stadio”. Susanna e Cinzia frequentano ancora oggi la curva dei rispettivi stadi, a Torino e a Vicenza. Entrambe protagoniste di un fenomeno che ha origini lontane perché “già quarant’anni fa le donne in curva erano presenti, e non erano così poche come si potrebbe immaginare”.

𝐒𝐩𝐚𝐠𝐧𝐨𝐥𝐨, 𝐢𝐥 𝐭𝐢𝐟𝐨 𝐚𝐥 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐧 è 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧 𝐟𝐞𝐧𝐨𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐫𝐞𝐜𝐞𝐧𝐭𝐞? 𝐄𝐝 è 𝐮𝐠𝐮𝐚𝐥𝐞, 𝐝𝐚 𝐍𝐨𝐫𝐝 𝐚 𝐒𝐮𝐝?

Il movimento ultras non è nato e non si è formato senza una presenza femminile, come si potrebbe pensare. Non parliamo di numeri significativi, ma nei gruppi organizzati le tifose c’erano già negli anni Settanta e Ottanta, da Torino a Genova (sia sulla sponda genoana che sampdoriana), e anche al Sud, da Bari a Catanzaro. Una componente femminile faceva già parte dei primi gruppi ultras, sin dagli anni Settanta, quando il movimento si radicava e si espandeva. La fidanzata di un capo storico della Curva del Milan, ai tempi della Fossa dei Leoni e delle Brigate Rossonere, mi disse: “Io ero in Curva con lui, ero rispettatissima già negli anni Settanta e nessuno mi ha fatto mai pesare l’essere donna”.

𝐀 𝐬𝐮𝐨 𝐝𝐢𝐫𝐞, 𝐥’𝐞𝐦𝐚𝐧𝐜𝐢𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐥𝐞 è 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚𝐥 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭à. 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡é?

Perché le donne erano già considerate alla pari degli uomini quando frequentavano una Curva, la passione le metteva al rango degli uomini, quando erano attive nei gruppi allo stadio. In quel contesto, il genere non era un fattore che ti pregiudicava o ti metteva in disparte, nonostante l’ambito considerato spesso come maschilista e machista. A Bari la prima tesoriera degli Ultras è stata Valeria, si occupava dei tesseramenti e di gestire il fondo cassa del club. Se ci sono differenze tra Curve del Nord e del Sud? No, non credo, non così nette. D’altronde, abbiamo esperienze a Bari e a Catanzaro, così come a Genova, Milano e Torino, in città del Sud e in grandi realtà del Nord.

𝐐𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐞𝐦𝐩𝐢𝐨 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞?

Alcune delle esperienze più significative di donne ultras “delle origini” si ritrovano a Genova. Le ragazze sampdoriane nei primi anni Ottanta partecipavano attivamente alle prime grandi coreografie con il bandierone copricurva, cucendo quintali di stoffa e contribuendo alla riuscita dello spettacolo al vecchio stadio di Marassi. Si ritiene siano loro il primo gruppo ultras al femminile, nato nel 79/80. Poi negli anni Ottanta, c’è la straordinaria esperienza delle tifose del Torino, le S.L.A.S. della Curva Maratona, che ricordiamo anche per le tante foto che le immortalano in balconata, ai tamburi, impegnate nel tifo per i granata.

𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐥𝐞 “𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢𝐨”?

Frequento ancora la mia curva, quella del Bari, che non ho mai abbandonato. Vivo l’appartenenza alla mia tifoseria dal di dentro. Pertanto, conosco anche molte tifose che seguono il Bari come me. Ci sono tantissime donne attive nella curva del Bari, che viaggiano in pullman con gli ultras senza alcun tipo di timore. Si sentono sicure, forse più di quanto non succeda altrove. Molte donne si sono affermate in Curva e hanno avuto dei ruoli nei gruppi ultras ben oltre quello che ci si potrebbe aspettare. Oggi si fa forse più fatica a trovare donne nella dirigenza delle società sportive, nelle istituzioni dello sport, negli organismi decisionali, mentre in un gruppo ultras trovi in prima linea tante ragazze che hanno ruoli organizzativi. Le donne si affermano anche perché sono spesso più meticolose, più precise. Questo le rende talvolta più affidabili degli uomini, anche in un contesto come quello di un gruppo di tifosi.

𝐓𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐮𝐫𝐯𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢𝐨, 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐥𝐮𝐨𝐠𝐨 “𝐩𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐬𝐨”. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐦𝐚𝐢?

Sicuramente la curva può diventare un luogo pericoloso, in alcune circostanze. Nessuno nega che un posto affollato da migliaia di persone, con una forte eccitazione dovuta alla partita, alla competizione sportiva, alla posta in palio, alla rivalità sportiva e al campanilismo, possa diventare pericoloso. Ma la Curva non è solo questo. È davvero l’ultimo luogo di aggregazione intergenerazionale e interclassista che c’è in Italia. L’unico posto in cui un ragazzino di 14 anni e un uomo di 60, il figlio del notaio e il figlio del disoccupato, chi ha un titolo di studio e chi non ha completato le scuole dell’obbligo, vivono spalla a spalla, senza distinzioni, uniti dalla stessa passione. E questa eterogeneità racchiude anche la componente femminile: se nessuno bada al censo o alla provenienza di una persona, se abita in centro o in una casa popolare, allo stesso modo nessuno in una curva discriminerà una ragazza. Qualche anno fa, fece molto discutere un volantino degli Irriducibili della Lazio: pretendeva “non ci fossero donne nelle prime dieci file della curva dell’Olimpico”. Si trattava a mio modo di una provocazione, di un invito a non andare nel cuore della curva per moda o per farsi i selfie, comunque un testo scritto in maniera discutibile. Posso garantire che tante donne ci sono anche nel cuore della curva laziale.

𝐋𝐞𝐢 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐮𝐫𝐯𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐥𝐮𝐨𝐠𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐠𝐠𝐫𝐞𝐠𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞.

La curva e il gruppo ultras come luogo di aggregazione più longevo e ancora oggi più “partecipato” che la società italiana conosca. Quella degli ultras è una sottocultura specificamente italiana, nata a partire dal Sessantotto, esplosa negli anni Settanta e arrivata fino ad oggi. Comunque in salute, nonostante tutto. E non ci sono altri esempi simili. I partiti in questi cinquant’anni sono cambiati, così come i sindacati, la società nel suo insieme è cambiata. La curva dello stadio, invece, è rimasto un luogo di aggregazione, da ormai cinque decenni. Lo stadio, la curva e i gruppi ultras sono – in alcuni casi – gli stessi di oggi e aggregano esattamente come allora. E in questo contesto interclassista, trasversale ed eterogeneo, non esiste una grande disparità di genere.

𝐃𝐚 𝐜𝐡𝐢 è 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢?

Conosco imprenditrici, insegnanti, dipendenti pubbliche, tifose di ogni categoria sociale. È un luogo che frequenti a prescindere dal titolo di studio o dall’ambiente sociale da cui provieni. Vai in curva se ti piace l’aggregazione, il tifo, se hai una passione per una squadra di calcio. Il calcio è un gioco di squadra che ha più appeal rispetto agli sport individuali, perché ci si identifica con il nome della squadra, con la città che rappresenta. Il calcio ha una più profonda capacità di legarci, di accendere meccanismi di identificazione che ci portano a tifare e ad esaltarci. E andare allo stadio con le amiche, o andarci da sole, può essere un modo per affermarsi in un luogo considerato prettamente maschile, seguendo uno sport giocato da uomini e seguito in gran parte dagli uomini. La curva è anche un luogo in cui una donna può aver voglia di dimostrare e di vincere lo stereotipo per cui le donne non possono parlare di calcio, perché non ne capiscono abbastanza. Andare allo stadio è anche un modo per dimostrare agli uomini che non è così. Personalmente, quando parlo di calcio con una tifosa in curva penso semplicemente di discutere con una persona che, come me, mette da parte gli impegni per seguire la squadra per sostenerla in trasferta. Uomini e donne, se vivono il calcio da ultras, affrontano allo stesso modo le fatiche del viaggio, la stanchezza, le spese di una trasferta.

𝐈𝐧 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐭𝐚 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐟𝐞𝐧𝐨𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢𝐨?

Secondo me la presenza femminile negli stadi crescerà ulteriormente, perché stiamo andando verso una trasformazione del pubblico degli stadi, verso quella che chiamo “la normalizzazione del tifo”. La spettacolarizzazione del calcio porta alla progressiva trasformazione degli stadi in dei teatri. La partita presto diventerà un momento di intrattenimento. Sia per l’offerta televisiva sempre più debordante, sia perché le partite di Serie A e B, negli stadi, vengono ormai precedute da dj set, musica, giochi di luce. Anche il calcio diventa uno spettacolo da gustare in compagnia. Questo avvicinerà altre donne allo stadio, perché anche in assenza di un vero interesse nei confronti della partita, si verrà attratti dal contorno, dallo spettacolo, dalla musica. Il calcio trasformato in prodotto di intrattenimento avrà una ancora più ampia presenza femminile sugli spalti, almeno nei campionati maggiori.

Rosita Mercatante per Tifosa Giallorossa

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