Mamma, insegnante, giornalista sportiva, ha unito competenza e tifo: “L’idolo è Iemmello, il mito è Palanca. Alle donne dico: non perdetevi l’esperienza di stare sui gradoni”
Succede spesso che la passione per la squadra di calcio venga trasmessa “di padre in figlio”. Ma può capitare che l’amore per il Catanzaro, l’iniziazione allo stadio, sia una questione tutta al femminile, un filo che lega “zia e nipote”. È il caso di Gea Brescia, 56 anni, mamma, insegnante di diritto ed economia nella scuola superiore e giornalista pubblicista. Gea aveva undici anni quando andò per la prima volta allo stadio per vedere il Catanzaro. A portarla fu zia Anna. E la professoressa-tifosa ricorda benissimo quella partita. “In campo c’era Paolo Rossi, giocavamo contro il Lanerossi Vicenza. Mi ricordo che eravamo in tribuna, io persi l’ombrello. Mia zia era già una grande tifosa giallorossa, anche lei un’insegnante. È stata la persona che mi ha ‘iniziata’ a questo percorso, che ha segnato la mia vita. Zia Anna mi ha fatto provare l’adrenalina che il calcio può regalare e non ne ho più saputo fare a meno. E adesso, trasmetto queste emozioni ai miei alunni e le mie alunne” racconta Gea, affidando a Tifosa Giallorossa la sua storia, i suoi ricordi, le sue emozioni, come prima di lei hanno fatto altre protagoniste dell’altra metà del calcio, che abbiamo incontrato in un anno per questo progetto.
Da allora, la passione della professoressa Brescia per il calcio e per il Catanzaro si è costantemente rafforzata. Lo spirito da sportiva la caratterizzava sin da ragazza. Con il tempo, ha imparato “che i valori dello sport sono fondamentali nella vita. Sono riuscita ad unire l’amore per la professione con l’amore per lo sport. La scuola va educata al sacrificio degli sportivi, ai ritmi dei ragazzi. La scuola deve accompagnare gli studenti ad un dialogo con la società anche con delle regole” racconta l’insegnante tifosa. Che con il calcio ha un legame diretto, conquistato sul campo, basato su una reale competenza tecnica. In grado di smontare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il cliché del “difficile rapporto” tra le donne e il pallone. “Ho scoperto il settore giovanile del Catanzaro, a livello professionale e lavorativo, quando ho iniziato la mia collaborazione con alcune testate giornalistiche. Erano gli anni del presidente Cosentino. Erano stati reclutati i migliori elementi delle società calcistiche della città, che erano state molto collaborative, per costruire un settore giovanile di grande qualità. Nel giro di pochi anni, arrivarono alla Final Four con la Berretti e alla Final Eight, per quella che oggi è l’under 16” ricorda Brescia, che ha seguito e raccontato il settore giovanile giallorosso per sei anni, come corrispondente dei giornali. “Le redazioni per cui collaboravo erano ambienti prettamente maschili, nei quali all’inizio ci poteva essere una certa diffidenza. Ho scoperto che bisognava dimostrare di essere competente per guadagnare rispetto e considerazione. In tal caso, non contava più il fatto di essere una donna” sottolinea ancora la professoressa.
In seguito, però, “eventi familiari e personali mi hanno impedito di proseguire e di garantire la mia presenza sul campo. Ero la più informata, perché andavo a vederli, ho sempre scritto quello che ho visto con i miei occhi e riportato fedelmente le dichiarazioni dei tecnici. Ritengo che il giornalista svolga un servizio e quindi chi ci legge deve sapere come stanno realmente le cose” racconta ancora la professoressa-tifosa. Che ricorda un aneddoto: la prima volta che la videro al Curto, un genitore la invitò in maniera accesa a ‘scrivere la verità’. E lei rispose che era lì proprio per quel motivo. “Da allora ho instaurato un bellissimo rapporto di fiducia. Alcuni ragazzi mi conoscevano come insegnante” sottolinea ancora. Ma quali sono stati i momenti più belli, vissuti con i ragazzi? “Naturalmente le trasferte, durante le fasi finali. Qualche volta ho viaggiato insieme a loro, sullo stesso autobus” ricorda Brescia.
Quello che non è mai cambiato, nella vita di Gea Brescia, è l’amore per il Catanzaro. “Quando sono diventata tifosa? Quando ho capito che l’amore per la maglia giallorossa è qualcosa di imprescindibile, è un sentimento viscerale. Durante le partite divento la più sfegatata delle tifose e ogni tanto facevo fatica a ridimensionarmi” racconta con gioia, senza trattenere una risata. L’unico ostacolo alla sua presenza sugli spalti del Ceravolo, al momento, è rappresentato dagli impegni di lavoro. “Vado allo stadio tutte le volte che posso, compatibilmente con l’orario scolastico. Ho molti alunni che il sabato escono da scuola e vanno direttamente allo stadio, molti di loro partecipano alle trasferte e il giorno dopo vengono regolarmente in classe. Quando il Catanzaro è stato promosso in Serie B, ho condiviso la gioia del traguardo con i miei alunni pubblicando un articolo. Per me sono ricordi indelebili. Quando si tratta di scrivere dell’amore per il Catanzaro, riesco ad esprimermi al meglio perché riporto quello che provo. Lo sento in prima persona, per questo riesco a trasmetterlo a chi legge” racconta con gli occhi pieni di passione.
La professoressa Brescia ancora oggi va allo stadio con i suoi compagni di tifo. “Sono andata anche in curva. Adesso più spesso in tribuna, che frequento con delle amiche, in particolare con Mariafausta Zavaglia (già intervistata da Tifosa Giallorossa). Quando ci andavo per scrivere, per lavoro, trovavo una posizione più defilata per concentrami e non avere distrazioni” ricorda ancora. “Un altro piacevolissimo compagno di partite è stato Mario Guarnieri (un vero scopritori di talenti calcistici che ha dato, a tanti ragazzi calabresi e non, la possibilità di giocare nei principali tornei e stadi d’Italia, ndr) che è mancato qualche anno fa. Da lui ho imparato tantissimo, è stato dirigente della Primavera negli anni d’oro del Catanzaro. Ha conosciuto il presidente Ceravolo, Merlo, ha fatto la Serie A” racconta ancora Brescia.
Lo stadio è uno dei suoi luoghi del cuore, uno spazio per socializzare, vivere insieme agli altri una passione. E Gea Brescia non ha dubbi su come seguire le sorti dei giallorossi. “Meglio lo stadio che il divano e la tv. Le emozioni dello stadio non te le può regalare nessun altro contesto dove guardare le partite” afferma con convinzione. E non avrebbe dubbi su come convincere una donna a frequentare lo stadio: “Venite, perché nessun amore è forte come quello che si prova quando si sta in quell’angolo di mondo” dice con certezza. Il Ceravolo è il luogo nel quale la nostra tifosa giallorossa vive un “momento di massima esaltazione. Mi sento invincibile appena entro allo stadio. Mi piace vivere il pre-gara, con tutti i rituali prima di entrare, i saluti, l’incontro con persone che vedi solo in occasione delle partite e con cui condividi qualcosa di importante, una passione vera. Per me ripercorrere la strada, incontrare le persone, guardarmi intorno, passare il tornello, scendere le scale, è tutto emozionante. Il momento del gol è una gioia immensa, è sempre una sorpresa” sottolinea Brescia.
Oltre alla zia Anna, c’è un’altra donna che si intreccia nei ricordi della professoressa tifosa. “Mia nonna abitava vicino allo stadio, quindi passavo sempre da casa sua, con mia madre, prima di andare alla partita. Un giorno la trovai con in mano il giornale per cui scrivevo all’epoca, non mi riconosceva più però mi disse: ‘Questo lo ha scritto mio nipote’”, ricorda con emozione.
Come per ogni tifosa del Catanzaro, l’album dei ricordi – belli e meno belli – è particolarmente ampio. E se le si chiede quale sia stata la giornata più triste, calcisticamente, Gea Brescia non ha dubbi. “Quella famosa sfida con la Lazio, che ci fece precipitare nell’abisso non l’ho vissuto nello stadio ma da fuori. Abbiamo toccato il fondo. Insieme al dispiacere della sconfitta, immeritata, poi è stata brutta anche la reazione dei tifosi. Oggi apprezzo la nuova generazione della tifoseria giallorossa. Sostengono la squadra facendo anche sacrifici economici, portano avanti il nome del Catanzaro, ovunque con onore” racconta Brescia.
La vita da stadio, ovviamente, comporta anche qualche momento di tensione. Soprattutto per una regione “calda” come la Calabria, con grandi rivalità calcistiche. “Quando ero ragazza erano folli le partite con il Cosenza, non c’era la sicurezza di adesso. Una volta fecero l’errore di far passare i cosentini dai Giardini di San Leonardo, una zona che quando ero adolescente raccoglieva tutti i giovani della città e del circondario. Ci fu una carica a questi autobus degli avversari e noi eravamo lì in mezzo. Mi sono rifugiata in un portone. Questo derby è sempre stato sentito e soprattutto… gliele abbiamo sempre date” dice con ironia.
La sua competenza calcistica l’ha accreditata facilmente nel mondo del giornalismo. Allo stesso tempo, come tifosa non ha mai vissuto una particolare diffidenza. “Essere donna in un ambiente maschile non è mai stato un problema. Caratterialmente sono molto decisa, non mi sono mai posta da donna ma alla pari. Mi è sempre stato riconosciuto di avere la qualità di saper fare un passo indietro, prima che inizi la polemica becera. Anche la diffidenza iniziale da parte degli uomini crolla quando si rendono conto che sei in grado di sostenere un dialogo e avere una tua idea” racconta l’insegnante. Ma quali sono i giudizi di Brescia sulla squadra e sulla società? “Questa squadra deve trovare la quadra. Il campionato è lungo e difficile, ma siamo sulla buona strada. Il numero di abbonamenti registrato dimostra la fiducia nella società. Questo è un anno a parte, dove tutto va costruito. In ogni caso, gli uomini passano e i colori restano, stagione dopo stagione”. E sul club? “Questa società piace e convince perché è concreta. Dà le risposte adeguate al momento opportuno e in questo modo si è guadagnata il rispetto della tifoseria giallorossa” aggiunge. Si tifa per la maglia, non ci si lega troppo ai calciatori… ma qual è in questo momento l’idolo calcistico di Gea Brescia? E quale quello del passato? “Sicuramente oggi è Pietro Iemmello, il capitano. Perché è un catanzarese come noi, è stato un ragazzo della curva e ha un grande talento. Ma Massimo Palanca resta il mito indiscusso che ha vestito la nostra maglia. L’ho conosciuto da bambina, ma non ero consapevole di quanto lui fosse un mito in città, perché allora i giocatori erano visti come persone normali. A 13 anni l’ho incontrato dal dentista e sul diario di scuola mi sono fatta fare un autografo. Mi capitava di incontrare anche gli altri giocatori di quella squadra, anche al mare a Costaraba o a Copanello. Ma non erano dei divi…” racconta Brescia, rievocando un calcio che aveva ancora una dimensione “umana”.
Rosita Mercatante per Tifosa Giallorossa