A 24 anni ha ceduto al fascino dello stadio trascinata dalle imprese di Corona e Ferrigno e dal mito di Palanca che definisce come “uno di famiglia”
Pantalone nero, zainetto in spalla, e al collo, come una collana di brillanti per una cena di gala, la sciarpa giallorossa del Catanzaro. Irene Longo oggi ha 47 anni. Lavora come impiegata. Vivere lo stadio è una passione che coltiva da quando era adolescente. Irene, come tante donne, è consapevole della rivoluzione rosa negli stadi e la vive con l’orgoglio di una tifosa: l’intensità, la gioia, i sorrisi, gli abbracci e le lacrime sciolgono la sua anima per un gol, una traversa, una vittoria, una sconfitta, l’attesa della partita, il ritorno a casa nel fragore dei clacson con il sole, la pioggia, il freddo e il vento.
“Sono cresciuta a via Schipani – racconta – e ogni domenica fin da bambina osservavo il serpentone colorato che andava allo stadio. Non posso non ricordare il grande fascino che ha esercitato su me mia mamma, una grande tifosa da sempre anche se non “praticante” perché non è mai andata allo stadio per paura di non riuscire a gestire le emozioni, ma ancora oggi segue tutte le vicende della squadra”. Mentre parla, Irene sembra delineare negli occhi quasi mitizzandola, l’immagine di quando proprio sua madre, da giovane, per seguire la partita del Catanzaro era come un sol corpo con la radiolina attaccata a un orecchio, ascoltando con trepidazione la radiocronaca. Il tempo, allora come oggi con lei in curva, sembrava fermarsi, ogni problema, ogni grattacapo, ogni piccola o grande mansione da sbrigare sembravano e sembrano concedersi tutte insieme una pausa: novanta minuti, recupero più recupero meno, durante i quali il tifo per quel pallone che non vuole mai entrare in rete era, come pure gli stessi colori giallo e rossi emuli di energia e amore erano, sono e saranno sinonimi di libertà, indipendenza, speranza e rigenerazione.
Un fascino per il calcio e il Catanzaro che poi, a 24 anni, Irene ha reso tangibile lasciandosi coinvolgere dalle amiche e dagli amici che frequentava e ha cominciato così, in maniera quasi naturale, a vivere in presenza, sugli spalti, le sfide al Ceravolo. All’inizio in maniera saltuaria, poi, dal 2003, con assiduità, entusiasmata in particolare dalle imprese di Corona e Ferrigno. E non le sono mancate le esperienze in trasferta. “Ho provato subito attrazione per il mondo ultrà – rivela sgranando gli occhi suoi già grandi e lasciando che i capelli riprendano vento -. Amo l’energia sugli spalti, l’esuberanza delle coreografie. Sulla mia pelle avverto l’ansia del pre-partita e ogni volta è un’emozione diversa. L’attesa del fischio d’inizio e poi le azioni, la tattica, gli errori e i bei tocchi e da tifosa vera, ho vissuto con amarezza i momenti più bui della squadra ma sono stata sempre presente”.
Negli anni, la presenza femminile allo stadio, a Catanzaro come in tante realtà calcistiche italiane, è aumentata. “Ci sono sempre state le donne tifose – riflette Irene – ma negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento considerevole e oggi ci sono anche molte ragazze giovani, alcune hanno solo 10 anni, vengono allo stadio con i genitori e questa cosa mi piace”.
Il giorno della partita il canovaccio per lei come per tutti i tifosi è quasi un rito scaramantico e d’auspicio: “Aspetto la mia amica Maria Elena sotto casa, poi ci dirigiamo verso lo stadio ma prima di entrare ci fermiamo al bar per bere un caffè”. Quel che succede dentro al Ceravolo le resta dentro a volte scolpito. “I ricordi più belli – sottolinea Irene – sono sempre legati a momenti di gioco spettacolari come quel gol di Ferrigno da centrocampo con la Sanbenedettese nel 2004. Quelli più amari, invece, non possono non essere legati ai playoff persi con il Sora, con la Cisco Roma, con il Benevento. Tra i calciatori che hanno lasciato più il segno dentro di me ci sono Giorgio Corona, Ferrigno, Maita, Fischnaller, Bursi ma Palanca, Banelli e Silipo sono persone ormai di famiglia per tutti i catanzaresi”.
In poche parole, cosa vuol dire essere tifosa del Catanzaro: “È passione, orgoglio e appartenenza. Siamo uniti sotto una sola bandiera” risponde senza esitare Irene.
Infine il rapporto con gli uomini, e la risposta di Irene rivela tutta la rivoluzione che le donne hanno saputo interpretare consapevoli della loro scelta: “Non sono mai stata discriminata dagli uomini allo stadio. In curva ho trovato sempre molto rispetto”.
Rosita Mercatante per Tifosa Giallorossa