Un’opera semisconosciuta del regista dove troviamo una rarissima testimonianza per l’epoca dei “giudizi pensanti” di alcune mogli dei calciatori giallorossi
La prima vera regia di Gianni Amelio è legata al Catanzaro Calcio. Era il 1967 quando quel ragazzo di poco più di vent’anni, con il sogno del cinema che bruciava nel petto, ottiene l’incarico di realizzare un servizio per “Sprint” – rubrica settimanale che andava in onda sul secondo canale della Rai – in cui parlare della squadra locale. I giallorossi erano reduci due anni prima dalla storica quanto sfortunata finale di Coppa Italia contro la Fiorentina a cui erano arrivati dopo la leggendaria vittoria in casa della Juventus e adesso con un terzo posto in classifica stavano preparando la strada della prima promozione in serie A.
Il regista conosceva bene il profilo di quella che è stata la sua città di formazione e da cui si era allontanato solo da pochi anni per trasferirsi a Roma dove, con impegno e caparbietà, si era conquistato la possibilità di collaborare con il maestro Vittorio De Seta. Per raccontare l’ “affaire” del tifo catanzarese, però non si accontenta di ricalcare la superficie delle evidenze: la narrazione di un Sud che si affidava al calcio per esaudire il bisogno del riscatto sociale aveva già convinto altri autori. Così decide di percorrere una strada nuova e di incentrare il suo racconto sull’esperienza dell’“emigrazione al contrario” dei calciatori giallorossi, proprio perché quasi tutti erano provenienti dal ricco Nord. E arrivavano nella terra delle “spartenze”, dei luoghi da dove si è sempre partiti in cerca di occupazione: all’epoca solo nella provincia di Catanzaro si contavano 35 mila emigrati per lavoro.
“Undici immigrati” è il titolo del documentario di cui abbiamo potuto recuperare la visione trovandolo disponibile nell’archivio della Cineteca della Calabria.
Le dichiarazioni dei protagonisti c’è sbigottimento e rassegnazione per quel treno che viaggia in direzione “contraria” rispetto agli spostamenti migratori di tutti i tempi, attraversa il paese per poi fermarsi nella cittadina calabrese “emblema del Sud”. La voce fuori campo rafforza il messaggio delle immagini in bianco e nero che scorrono sullo schermo per descrivere una città di provincia, modesta, semplice: 30mila impiegati, 20mila studenti, 25mila disoccupati, 90mila abitanti. Tutti, di qualunque estrazione sociale, sono tifosi della squadra locale.
La musica scelta dall’autore per accompagnare la dimensione visiva del documentario sembra voler innescare un meccanismo emozionale: ha a che fare con i sentimenti e con la passione il brano “E ti avrò” di Sandie Shaw, una delle interpreti inglesi più popolari in Italia nella seconda metà degli anni ’60 e rimasta nella memoria collettiva come la cantante scalza per la sua abitudine di esibirsi sul palco a piedi nudi.
La narrazione – come dicevamo – si concentra sull’anomalo caso di “immigrazione al contrario”. Se gli emigrati si contano a migliaia, la stessa cosa non si può dire degli immigrati che sono pochissimi, esattamente 11 o poco più. Sono i componenti della squadra di calcio e le loro mogli che si trovano catapultati in un contesto cittadino che poco e niente assomiglia a quello che avevano lasciato a Bologna, Verona, Brescia. E così i vari Cimpiel, Bui, Lorenzini, Orlandi nelle singole interviste confessano di aver avuto qualche titubanza ad accettare la proposta della Società del presidente Nicola Ceravolo perché significava trasferirsi in un posto lontano e sperduto. A tratti questo microcosmo in cui “tutti riconoscevano i giocatori ancor prima che arrivassero”, risultava soffocante, dall’altra parte riusciva con il tempo a farsi voler bene per la spontaneità con cui accoglieva e ti esaltava se arrivavano buoni risultati in campo.
Senza dubbio più tagliente appare l’opinione delle donne dei calciatori che Amelio include tra le voci del cortometraggio, compiendo una scelta non proprio ovvia in una società ancora distante dalle conquiste sociali e politiche che arriveranno con la seconda ondata del femminismo degli anni Settanta. Pur non potendo sovvertire il paradigma sul riconoscimento sociale delle donne mediato dallo sguardo maschile, che le ha sempre viste come le “mogli di”, riesce comunque a riservare loro uno spazio importante mettendo in risalto l’autonomia di pensiero di queste “immigrate speciali” che con le loro dichiarazioni danno l’idea di vivere in una bolla avulsa dal contesto cittadino. Certo, erano altri tempi rispetto a quelli attuali del calcio moderno in cui da “mogli di” si è passati al concetto di WAGS, e fare coppia con un calciatore è diventato uno status symbol a dispetto di ogni lotta per l’emancipazione femminile.
Le maggiori difficoltà riscontrate da loro sono quelle legate alla scarsa offerta commerciale e di svago di un posto un po’ ripiegato su stesso e troppo lontano – non solo per le distanze geografiche – dalle influenze delle tendenze e della movida delle grandi città. La moglie del portiere Cimpel, ad esempio, si lamenta perché non ha molta scelta quando va a fare la spesa e qualche volta fa fatica a far capire le sue richieste al macellaio. Sulla stessa falsariga il commento della signora Orlandi che non è riuscita a instaurare un rapporto con l’ambiente cittadino: non ha stretto nessuna amicizia con le persone del posto non riuscendo a trovare condivisione di abitudini e interessi.
Con grande abilità il regista riesce a consegnare allo spettatore più versioni sullo stesso argomento. Come nel caso della moglie di Raise, veneta arrivata sui Tre Colli nel ’58 dove poi è rimasta per diversi anni diventando anche titolare di un’attività commerciale.
Invece, quando la parola passa ai tifosi, questi parlano delle “mogli dei giocatori” come donne fredde, riservate che probabilmente confondono il calore meridionale per machismo.
Alla fine ad essere “assolta” è proprio la tifoseria come traspare dalle parole del portiere Cimpiel che alla fatidica domanda se tornerebbe in una squadra del Nord di pari categoria senza tentennamenti risponde in maniera salomonica: “Sì, però porterei il pubblico del Sud!”.
Rosita Mercatante per Tifosa Giallorossa